I VESTITI SI RACCONTANO, MA SU NETFLIX

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Da quando la pandemia è iniziata, abbiamo scoperto le qualità più umane degli abiti che indossiamo. Se nel 2012 Anna dello Russo poteva dire «Fashion is always uncomfortable», oggi le cose sono molto cambiate. In passato il mondo della moda d’archivio aveva iniziato ad apprezzare i segni dell’usura e del tempo come espressione della personalità di un abito. E adesso il mondo ha scoperto ulteriormente la bellezza di un abito a cui si è personalmente legati, griffato o meno che sia.  Proprio su questo si basa la nuova docuserie di Netflix in arrivo il prossimo 1 aprile I vestiti raccontano. La trama è incentrata sui racconti tra le persone comuni e la storia dei propri abiti. Ad esempio tra un pompiere e la sua divisa; la t-shirt di un astronauta; il primo paio di tacchi; gli abiti nuovi di un ex-carcerato; l’uniforme di un guardiano notturno e via dicendo.

La serie è basata sul best-seller Worn Stories di Emily Spivack, giornalista del The New York Times e anche creatrice dell’installazione dedicata a Barack Obama Medium White Tee. La sua intera carriera creativa (Spivack è anche un’artista oltre che una scrittrice) si basa sullo storytelling nascosto dietro gli oggetti quotidiani. Un tema ricorrente nei suoi lavori. Ecco come Spivack ha descritto i suoi interessi: «Ci mettiamo vestiti addosso ogni giorno […] e affrontiamo il mondo indossandoli. Questi vestiti sono il condotto per molte esperienze diverse. […] Mentre siamo seduti al tavolo di questo caffè e guardiamo i passanti, ognuno di essi indossa qualcosa che ha scelto di indossare. […] Questo dice qualcosa sulla nostra cultura. È antropologico, sociologico».

Questa nuova docuserie, in breve, sembrerebbe segnalare un cambio di marcia nella cultura mainstream. I vestiti non sono solo la moda col suo circo di trend, personaggi pittoreschi, redattrici à-la-Miranda Priestly e superstar cariche di soldi. Piuttosto quando si parla di vestiti  si parla anche e soprattutto di emozioni, personalità e identità, oltre che di storie ed esperienze individuali. Il buono dei libri di Emily Spivack, così come il buono che questa serie sembra promettere, sta proprio nel riconoscere la dimensione umana ed esperienziale degli abiti che indossiamo, l’importanza che va al di là del branding o del lusso e, in sostanza, anche il riconoscimento che ciò che rende un abito unico è sempre e comunque chi lo sta indossando.

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