Virgil Abloh è stato il primo afroamericano a diventare Direttore Creativo del menswear di Louis Vuitton, ma ricordarlo solo per questo, sarebbe enormemente riduttivo.
Abloh è stato soprattutto il simbolo di un mondo nuovo, un mondo giovane e tecnologico e libero dai vecchi schemi che faceva inesorabilmente la sua entrata nella moda, eclissando quello precedente ormai obsoleto.
Un Virgil Abloh, imprenditore e stilista, architetto e deejay, stylist, industrial designer e straordinario comunicatore; il primo capace di portare il mondo street dei ragazzi, dei millennials ipertecnologici, curiosi, sperimentatori, e iper connessi all’interno del tempio del luxury; in una maison che da sempre è simbolo di eleganza ed esclusività, ed oggi più vicina ai consumer.
L’artefice di una moda non più distante, ma aperta alla vita alla musica, al nuovo. Più grande, ma non di molto, di un ragazzo qualsiasi della Generazione Z, un loro fratello maggiore: come loro faceva la fila davanti al negozio di Supreme per ore, a New York, in attesa del prossimo «drop», il rilascio di qualche nuovo oggetto del desiderio, per poi condividerlo sul suo iPhone, “il mio ufficio portatile”, lo chiamava, con i suoi modi gentili da ragazzo del Midwest. Da ieri sui social, sui profili delle maison più impprtanti al mondo, da Gucci a Fendi, a Dior, tutti parlano di queslla gentilezza e delicatezza d’animo che ne ha fatto il tratto più distintivo.
A noi oggi rimangono le sue collezioni, tante, le collabo ancora di più, ed il suo libro. Ci ha insegnato con la sua moda ad essere liberi. E la consapevolezza che il talento e la creatività possono superare qualsiasi ostacolo.