MODA LA RIVOLUZIONE DEGLI ANNI ’70

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Mentre la moda degli anni sessanta si ispirava alle forme geometriche, la moda degli anni ’70 assunse la forma di un vero e proprio movimento. Gli Hippy indossavano camicioni larghi e lunghi, tuniche trasparenti, colori sgargianti, fiori giganti, monili ed indumenti esotici. Questo look diventò una vera e propria antimoda, simbolo di libertà.
Anche il movimento femminista di quegli anni si identificò con le gonne lunghe, negli abiti acquistati per pochi spiccioli ai mercatini dell’usato e gli zoccoli. Alla moda di quel periodo furono spesso collegate anche le diverse idee politiche: per esempio in Italia la giacca di pelle, gli occhiali Ray Ban e le polo Lacoste erano prerogativa dei giovani di destra, mentre i giovani di sinistra preferivano l’eskimo verde indossato sopra ai jeans, scarponcini simili ai “Clarks Desert Boots”, maglioni di taglia abbondante e borse a tracolla in tela o cuoio.

 

Elio Fiorucci fu il primo che in Italia captò questo tipo di moda controcorrente. Partito da un modesto negozio di pantofole ereditato dal padre, in pochi anni creò a Milano un grande emporio-bazar. Intuì che il marchio poteva essere un elemento indispensabile per attirare l’attenzione dei giovani compratori, e inventò il suo: due angioletti vittoriani muniti di pesanti occhiali da sole.
Il suo emporio era un punto d’incontro, e vi si poteva trovare di tutto: abiti a stampe floreali , zatteroni altissimi e pericolosi, felpe, jeans, ma anche gadgets molto colorati. A lui si deve l’introduzione del tessuto elasticizzato nella moda, che gli permise di inventare tute molto aderenti adatte alla disco-dance.

Le case di moda si vedevano fuggire la clientela. Oltretutto un’ondata di scioperi colpì molte industrie nel quinquennio 1970-75, e parecchie tra quelle che lavoravano nell’indotto dell’abbigliamento furono costrette a chiudere. Per salvarsi dalla crisi quasi tutte le case di moda si buttarono sul “pronto”; la passerella si avviava via via a diventare un’esibizione costosissima e a volte folle, ma utile a commercializzare prodotti più normali seppur costosi. Oramai non si poteva parlare di moda, ma di mode. Tra queste quelle etniche, per cui si videro in strada odalische, pellerossa, cinesi e peruviane.

Gli anni ’70 furono anche quelli di Sonia Rykiel con  l’esplosione della maglieria, di cui la stilista francese era considerata la regina. Sull’onda del femminismo si indossarono strati su strati di maglia, berretti, sciarpe, scaldamuscoli. Tra le novità, proprio all’inizio del periodo, vi furono gli Hot pants, pantaloncini assai più corti delle minigonne e che lasciavano interamente scoperte le gambe.

 

Ma il couturier più importante del periodo fu Yves Saint Laurent. Coltissimo, appassionato d’arte e fantasioso, aveva capito che le idee nuove possono venire anche dalla strada. Innovatore del guardaroba femminile, applicò alla donna diversi capi tradizionalmente maschili, come lo smoking, il trench, i knikerbokers e il tailleur pantalone.

Con un occhio rivolto anche al folklore, creò una celeberrima e sontuosa collezione in stile russo, poi un’altra in stile cinese. Infine parecchie sue collezioni degli anni ’70 si ispirarono al mondo dell’arte, da quella pop, al cubismo (collezione Picasso) al fauvismo. Negli anni sessanta aveva aperto una famosa catena di negozi di moda pronta denominata Rive Gauche, tuttavia col tempo il suo stile diventò sempre più prezioso e teatrale.

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