Ho appena terminato di leggere l’esaustiva analisi che per BOF e McKinsey hanno elaborato per “The State of Fashion 2021”. Ci stiamo avviando a chiusura di un anno che per il comparto moda è stato drammatico, investendo con particolare violenza il retail che ha registrato flessioni pesanti con conseguenti chiusure di punti vendita a livello globale.
Il Grafico fornito da McKinsey impone una riflessione seria e la impone adesso, alla vigilia di un anno, il 2021, che necessariamente dovrà segnare una inversione di tendenza.
“La moda deve riscrivere le proprie regole”, questo il messaggio che da mesi è condiviso da coloro che la moda la fanno, la comunicano, la amano. Penso allo straordinario appello di Giorgio Armani e alla sua accorata lettera agli operatori del settore, poi condivisa dagli stilisti di tutto il mondo. Un percorso che includa finalmente parole come sostenibilità, circolarità dell’economia, maggior rispetto per l’ambiente, una moda che segua la stagionalità, che sia stile ed eleganza, che si prenda i suoi tempi, che rispetti la filiera artigianale.
Anche a noi che in veste di giornalisti ed operatori della comunicazione abbiamo partecipato alle Fashion Week degli ultimi anni, era evidente che il sistema fosse ormai fuori controllo, una moda completamente avulsa dalla realtà, giunta ad essere solo estrema spettacolarizzazione di un mondo che non è mai esistito. Eppure, anche negli anni scorsi la moda aveva dato segnali importanti in controtendenza.
Nei primi giorni del 2019 al Teatro alla Scala assistevo ai Green Carpet Fashion Awards 2018, i premi dedicati alla moda sostenibile organizzati dalla Camera Nazionale della Moda Italiana ed Eco-Age. Il Premio come “miglior stilista emergente” fu vinto da Gilberto Calzolari, con un abito realizzato con sacchi di juta provenienti dal Brasile e acquistato al mercato dei Navigli. Un abito che accostava una fibra “povera” ed antichissima, ad una delicata mussola in cotone naturale usata per rivestire il suo interno ed impreziosita da ricami a motivi floreali giapponesi in cristalli Swarovski. Un capo che sposava materiali di diversa provenienza che raccontava le tradizioni dei differenti Paesi, ne fui veramente colpita. Non era fast fashion, non era uno show, ma eleganza pura.
A mio avviso è fondamentale che il comparto abbigliamento e tessili ritorni alla concretezza e trovi delle strategie interne, in modo da poter resistere meglio ad eventi imprevisti, come ci ha dimostrato la recente pandemia, ma non solo.
Sarà fondamentale puntare sull’e-commerce naturalmente come suggeriscono le analisi degli esperti ma anche riscrivere il modo in cui il consumatore può essere coinvolto all’interno di un sistema che fino ad ora non lo ha veramente rappresentato. Insegnare l’importanza di una scelta ponderata di acquisto, comprare un capo perché quindi ci rappresenta, parla di noi e non solo perché è di moda. Trasformare l’acquisto in boutique in una vera e propria relaxing experience, in cui il cliente si senta ascoltato. Ripenso agli atelier di moda degli anni ‘50 e ’60, come li ho letti nei racconti dei giornalisti dell’epoca; Preziosi salotti in cui la cliente veniva fatta accomodare e guidata poi all’interno della scelta del capo più adatto a lei. Ovviamente senza per questo ipotizzare neanche lontanamente una scomparsa del fast fashion che dovrà continuare ad esistere ma andrà rimodulato su una vita che per tutti noi è cambiata, quindi che sia concreto, non eccessivo, di qualità e che segua l’andamento naturale delle stagioni. E anche qui abbiamo già esempi più che positivi, se pensiamo all’impegno del colosso del fast fashion Zara impegnato nella produzione di una linea, la Join-Life, che tutela e preserva le foreste, è a zero impatto chimico e sostiene il re cycling con la raccolta di capi usati in negozio.
E per quanto riguarda noi, impegnati nella comunicazione e di fatto ponte tra i brand ed il consumatore spetta il compito di valorizzare attraverso i nostri canali, sia stampa che social, l’importanza di un futuro che riporti le persone al centro, che le renda parte attiva di un mondo come quello della moda all’interno del quale devono essere interpreti e non solo semplici consumatori, osservatori e critici, e non più semplici spettatori. È questa la scommessa da vincere nel 2021.