Londra è stata la prima delle grandi capitali della moda a inaugurare la digital fashion week: tre giorni, dal 12 al 14 giugno, per presentare (poche) collezioni e sperimentare (tanti) nuovi modi diversi di comunicare con gli addetti ai lavori e con il pubblico.
Ma com’è andata nel dettaglio ?
Non è stata la classica settimana della moda, con il calendario pieno zeppo di sfilate e presentazioni. Quella di quest’anno si è presentata come l’occasione per sperimentare i diversi modi che i marchi hanno avuto per mostrare le proprie collezioni, in alternativa all’evento dal vivo. Il calendario è stato strutturato in tre sessioni giornaliere, ognuna delle quali ospita video montati con materiale girato durante la quarantena, incontri in live streaming, podcast, dj set, concorsi aperti al pubblico, e molto altro. Tutto è disponibile sul nuovo sito ufficiale e sugli account social, in particolare Instagram e Youtube.
Con ogni probabilità saranno questi i campi di battaglia anche per le prossime digital fashion week, con Zuckerberg e Google a rincorrere il primato del luogo favorito dagli amanti della moda. 34 i designer partecipanti, insieme a 34 retailer, 23 media e 6 partner pubblicitari: sono mancati i grandi nomi della moda britannica – Burberry, Victoria Beckham, JW Anderson, Christopher Kane hanno tutti deciso di rimandare a settembre – ma anche gli young talents più gettonati, tra cui Richard Quinn e Rejina Pyo. Assente è stato anche il formato del live streaming shopping, che durante la Shanghai Fashion Week ha riscosso un grandissimo successo.
Tra i tanti, tantissimi input, il contenuto più attuale è quello che non riguarda gli abiti: il direttore di British Vogue, Edward Enninful, ha intervistato il sindaco di Londra, Sadiq Khan, sul tema della discriminazione razziale e di #BlackLivesMatter.
Pochi giorni prima Enninful aveva dedicato la copertina del numero di luglio a tre cittadini di Londra: Narguis Horsford, un macchinista del London Overground, Rachel Millar, un’ostetrica della comunità nella zona est di Londra, e Anisa Omar, un’impiegata nei supermercati di King’s Cross. Un tributo nei confronti di quei lavoratori che con piccoli grandi gesti hanno fatto la differenza durante l’emergenza.